Zio Vanja
FONDAZIONE DEL TEATRO STABILE DI TORINO
ZIO VANJA
di Anton Cechov
adattamento originale Gabriele Vacis e Federico Perrone
con Eugenio Allegri, Laura Curino, Paolo Devecchi, Michele Di Mauro, Lucilla Giagnoni, Davide Gozzi, Alessandro Marchetti, Laura Panti, Francesca Porrini
regia Gabriele Vacis
composizione scene, costumi, luci e scenofonia Roberto Tarasco
studi per la scenografia Lucio Diana
con la collaborazione operativa di Sartoria Bassani, Artquarium, Associazione Culturale Muse, Teatro Studio
coproduzione Teatro Stabile di Torino con Fondazione Teatro Regionale Alessandrino
Zio Vanja tocca le corde più profonde di ciascuno di noi. Sviluppando i temi della delusione e della rassegnazione, il testo porta con sé i tratti distintivi dell’opera del grande autore russo. Ogni personaggio, ad un certo punto, dice “la verità” su se stesso, e quando non è lui a dirla, quella verità è pronunciata da un altro. “A turno – spiega il regista – tutti salgono sul pulpito per fare la predica agli altri, alle loro carenze. Tutti rimproverano gli altri di quello di cui loro stessi mancano ma, in realtà, non riescono a procedere oltre la pura esternazione, trascinati nell’ovvietà della propria esistenza, e quando un barlume di azione si concretizza, sbagliano il bersaglio”.
Debutto: Torino, Teatro Stabile – Teatro Carignano, 2 febbraio 2009.
Lo spettacolo inaugura il Teatro Carignano dopo il restauro.
Viene ripreso nella stagione successiva in una tournée che non tocca Torino.
INTORNO A VANJA
conversazione tra Giulio Giorello e Gabriele Vacis
Gerardo Guerrieri, nelle sue note ai testi di Cechov, parla diffusamente di Beckett a proposito di Cechov…
Sembrano mondi lontani perché Beckett da l’idea di un mondo surreale, mentre Cechov descrive la quotidianità. Adorno diceva che nel Novecento sono successe cose a cui neppure i superstiti sono riusciti a sopravvivere. I personaggi di Cechov hanno già tutto il disincanto di quelli di Beckett, pur non avendo ancora visto le grandi tragedie del Novecento. Vivono in una condizione che ha ancora un’oggettività, vivono in una casa di campagna, vedi i loro rapporti reali e quotidiani, una vita reale e concreta. Mentre i personaggi di Beckett sono sospesi in uno spazio astratto. Questo ce li allontana, mentre quelli di Cechov ci sono vicinissimi. Dev’essere per questo che molti degli scrittori americani che mi piacciono, da Don Delillo a Raymond Carver, tutti quanti, riconoscono in Cechov un maestro. Anche perché lui scrive con una essenzialità straordinaria. Poi Cechov riesce a mettere in scena molti personaggi. Peter Brook dice che Shakespeare mette in scena dieci dodici personaggi, e dopo di lui c’è solo Cechov. In fondo molti registi cinematografici di oggi, da Alejandro Inarritu, quello di Babel a Paul Haggis, quello di Crash, fanno qualcosa di simile: mettere in contatto i destini di molti personaggi. Anche se oggi, con la globalizzazione, i personaggi stanno in Giappone, in America, in Marocco… In Cechov i personaggi sono tutti vecchi russi, ma in Zio Vanja arrivano in campagna il Professore e sua moglie che sono gente di città, estranei, come oggi può essere estraneo un africano. Insomma: anche qui si racconta l’incontro con l’altro da sé, che mette in difficoltà e modifica il mondo.
Infatti nel finale, sul muro dello studio di zio Vanja c’è una carta d’Africa, che sembra non servire a nessuno, invece servirà ad Astrov per alimentare la dimensione di un altrove, completamente diverso dalla Russia, «chissà che caldo farà adesso in Africa, terribile!»…
Quel momento è veramente commovente, è un momento che smuove qualche cosa. Tutti stanno partendo…
E questo è un po’ alla Beckett – «Andiamo andiamo» e sono ancora qui – le didascalie di Beckett sono il tipico Irish humour… ma in Cechov c’è dell’umorismo?
Molto. Il teatro italiano considera con sospetto il momento in cui si ride. Ho visto mettere in scena Goldoni tagliando le parti in cui proprio non si riesce a non far ridere. Certo non stiamo parlando di farse. Per capire il sentimento che passa in Cechov possiamo tornare al cinema, del resto l’autore russo è una sorta di nume tutelare del cinema contemporaneo, mi viene in mente Segreti e bugie di Mike Leigh, con quel suo finale in cui la madre e le figlie si ritrovano nel giardino di casa a guardare i nanetti di gesso… Ecco, quel sentimento lì corrisponde a Cechov, qualcosa che sta sempre in bilico tra il piangere e il ridere…
In Zio Vanja il personaggio del dottor Astrov potrebbe essere autobiografico, anche Cechov era medico, Astrov è un ecologista ante litteram. Siamo alla fine dell’Ottocento ed è un momento in cui c’è un ecologismo molto interessante, pensiamo a quello americano che comincia a capire che la ferrovia fa morire le praterie. È un sentimento che è presente negli ex combattenti americani di entrambi gli schieramenti della guerra di secessione, che si rendono conto, come in Inghilterra e Germania, che la modernizzazione ha prezzi molto alti. La sua descrizione della foresta che si contrae è molto interessante, egli dice: quando sono così ho tutto un mio sistema filosofico peculiare e tutti voi, cari miei, mi sembrate insetti e microbi, e quindi si ritorna ad una lettura quasi da entomologo… E nello stesso tempo questo Cechov – Astrov, medico portatore di idee innovative, racconta se stesso in modo autoironico. Con Sonja lui è anche un po’ canaglia, non è chiarissimo, perché è anche attratto da Elena…
Ecco: e le donne?
Tutte le donne hanno una loro autonomia che viene loro dalla concretezza, hanno una loro direzione: la balia, Sonja, sono donne che non si fanno distrarre dalla loro vita, banale ma comunque concreta. Elena, invece, è l’eccezione, è, appunto la donna che viene dalla città, è paralizzata dalla concretezza della campagna, è l’immagine stessa dell’accidia intellettuale. Poi c’è la madre di zio Vanja…
Vanja dice a proposito della madre: «Quell’altra vecchia gazza di mia madre cinguetta sempre, in eterno, sull’emancipazione della donna. Con un occhio guarda la tomba che arriva e con l’altro spia nei suoi sapienti libercoli l’alba della nuova vita»… Che la madre sia una femminista ante litteram dimostra che c’è una grande informazione, nella campagna russa di fine Ottocento. I protagonisti vivono nella provincia più cupa della grande Russia ma, evidentemente, sanno quanto accade in Europa, in Inghilterra, nel resto del mondo, non sono degli sprovveduti. Gli arrivano magari in ritardo i pamphlet, ma sono francofoni, tant’è che dicono Maman, oppure Monsieur le professeur…
Ecco, monsieur le professeur, il Professore, è un bel personaggio, è uno che fa disastri, economici e umani. Ma c’è una cosa che in qualche modo lo salva: il relativismo. Quando propone di vendere la tenuta Vanja va su tutte le furie, ma per il Professore si tratta solo di una ipotesi. In quel momento ho l’impressione che il Professore sia sincero, non sta ingannando Vanja, gli sta solo dicendo: «a me è venuta questa idea…, mi sembra una buona idea, però se non siete d’accordo va bene anche così». Infatti alla fine non se ne fa niente: vince Vanja.
Però il Professore assume i tratti di un irresponsabile…
Vanja dice di lui che per tutta la vita ha scritto di arte senza mai capirne niente, probabilmente è anche vero, solo che lui non lo sa: è vero è un irresponsabile, però…
Al contempo è abbastanza tollerante: «Io non capisco perché te la prendi tanto, io ti dico il mio piano ideale, ma se tu lo troverai inattuabile io non insisterò».
Il Professore insulta senza capire che lo sta facendo: quello che conta per lui alla fine è ribadire il proprio stato di intellettuale. È la personificazione di certe individui che non hanno a che fare con la concretezza del lavoro, che non sono in grado di comprendere fino in fondo la vita reale. Anche il dottore è un intellettuale, però comprende la quotidianità concreta del lavoro, mentre il Professore e Elena sono intellettuali puri, non sono in grado di intendere in profondità i sentimenti semplici, quelli che fanno andare avanti il mondo. In conclusione, il Professore è un personaggio nei confronti del quale Cechov non mostra nessuna pietà, ma grandissima compassione.
Certo che è curioso come la sensibilità di Cechov attenui tutto, quasi per sottointeso. Prendiamo il tema dell’usurpazione: il Professore, in fondo tenta di usurpare la proprietà alla figlia, a Vanja, in altri testi, dall’Ulisse omerico all’Amleto di Shakespeare è una tragedia, il cuore del racconto, qui invece viene fuori alla fine, in sordina…
Sonja non nutre alcun rancore nei confronti del padre, solo Vanja lo denuncia come usurpatore, ma è solo per invidia, perché si è innamorato della moglie del Professore. Del resto c’è un momento in cui Elena dice a zio Vanja: «sa cosa abbiamo in comune noi due, siamo noiosi…». Questo è bellissimo! Perché anche lei che ha la sua vita in città, ed è una donna brillante dice, siamo pesanti! Siamo noiosi! Sono personaggi che riconoscono in se stessi i difetti più tremendi ma non fanno niente per cambiare… Come tutti.