Elementi di struttura del sentimento

TEATRO SETTIMO

 

ELEMENTI DI STRUTTURA DEL SENTIMENTO

 

progetto Gabriele Vacis da Le affinità elettive di J.W. Goethe
di Laura Curino, Lucio Diana, Mariella Fabbris, Roberto Tarasco, Gabriele Vacis, Adriana Zamboni
con Gabriella Bordin, Laura Curino, Mariella Fabbris, Rosalba Legato, Cristina Torriti, Adriana Zamboni
regia Gabriele Vacis, Roberto Tarasco
allestimenti Lucio Diana, Adriana Zamboni, Mariella Fabbris
immagini Lucio Diana, Adriana Zamboni
costumi Adriana Zamboni, Mariella Fabbris
suono e luci Roberto Tarasco
foto di scena Maurizio Buscarino
pubbliche relazioni Mariella Fabbris
organizzazione Paolo Ambrosino
ufficio stampa Antonia Spaliviero
direzione amministrativa Mario Agostinoni

produzione F.I.A.T. Teatro Settimo

 

La vicenda è quella narrata nelle Affinità elettive di Goethe: due coppie si dissolvono e si ricompongono incrociate, un bambino muore, un parco cresce dentro al progetto di un paesaggio ideale di stampo illuminista. Ma gli aristocratici protagonisti non sono mai visibili: per loro parla, soffre, agisce la servitù. È un’angolatura quantomeno inconsueta quella attraverso cui si intravede l’opera di Goethe Le affinità elettive. Se nelle Affinità elettive i protagonisti sono Edoardo e Carlotta, Ottilia e il Capitano, con le loro storie incrociate, complesse, finite male, nonché i loro fantastici progetti qualche volta irrealizzabili qualche volta incompiuti, in Elementi di struttura del sentimento questi personaggi non sono presenti, ma si concretizzano attraverso il narrare delle loro sei «servette che animano la scena». Una storia questi spiata dal buco della serratura, vissuta di riflesso, che ha come protagonisti personaggi che nella realtà protagonisti non sono. La servitù attende l’arrivo dei padroni, c’è tanto da fare, da preparare; l’attesa è elettrizzante, tutto deve essere perfetto. Il castello vestito a festa e l’accoglienza preparata nei minimi particolari, come una sorta di messa in scena da provare e riprovare. E finalmente l’attesa viene ripagata, i padroni arrivano. Li accompagna il Capitano che avrà il compito di curare il loro nuovo fantastico progetto: un grande parco. Ma a chi serve il parco, che senso ha pensare a questo progetto? Un parco ci mette decenni a crescere, non si riuscirà a vederne il compimento.
Le sei donne non si fanno più domande, il progetto non è loro, loro dovranno solo occuparsi della sua realizzazione pratica; d’altro canto per i padroni non è importante il compimento del parco, quanto il suo essere pensato, progettato, avviato verso una potenziale realizzazione. Nessuno degli ideatori ne godrà gli ipotetici frutti, a nessuno di loro interessa, possono anche andarsene. Ora sono di nuovo rimaste sole, solo la servitù si è fermata al castello, e nelle lunghe sere d’inverno combattono la solitudine giocando a raccontarsi tutto ciò che riaffiora alla loro memoria: i ricordi comuni, le speranze svanite, come quella volta che avevano condiviso con trepidazione l’attesa di quel bambino che la signora avrebbe messo al mondo di li a poco e poi lui era morto, come se la loro attesa non tosse valsa a nulla, a nulla i loro preparativi. I ricordi vanno via via esaurendosi lasciando di nuovo spazio ai giochi. E poi sono ancora racconti, gesti.
La storia non è finita, non può finire perché in fondo non è la loro storia quella che stanno raccontando.

1986 Premio Ubu per miglior spettacolo di ricerca.

Debutto: Santarcangelo di Romagna, novembre 1985.